Il tfr viene pagato in busta paga

Qualunque sia la ragione per cui il rapporto di lavoro si interrompa, il lavoratore ha sempre diritto di ricevere il TFR accantonato negli anni dal datore di lavoro, e di fronte alle difficoltà della non occupazione, è più che legittima una certa apprensione fino a quando viene pagato il Trattamento di Fine Rapporto…

Tra i tanti oneri che ricadono sul datore di lavoro c’è infatti l’accantonamento di un importo, proporzionato alla retribuzione annua secondo un criterio che vedremo di seguito, a cui il lavoratore avrà diritto sempre, senza alcun vincolo circa l’uso che ne voglia fare e senza che rilevi se all’origine vi sia stato un licenziamento volontario col dovuto preavviso, il licenziamento per superamento del periodo del comporto o qualunque altra ragione di cessazione del rapporto di lavoro subordinato.

Secondo l’attuale disciplina del TFR, l’importo spettante si ottiene dividendo la retribuzione dell’anno in corso per 13,5 e aggiungendo a questo importo, negli anni seguenti, un tasso fisso dell’1,5% a cui aggiungere il 75% del tasso che l’ISTAT indichi per ciascun anno.

Ipotizzando quindi che la retribuzione annua sia di 24 mila Euro e applicando il primo coefficiente del 13,5% (€ 24.000 : 13,5 = € 1.777,78) si otterrebbe un importo base del TFR di € 1.777,78 nell’anno in corso al quale aggiungere negli anni seguenti il primo tasso dell’1,5% (€ 1.777,78 x 1,5% = € 26,67) pari a € 26,67 e il secondo tasso pari al 75% dell’inflazione annua secondo l’ISTAT che nel 2022 è stata del 5,7% (quindi 5,7 x 75% = 4,275%) traducendosi in ulteriori 76 Euro (€ 1.777,78 x 4,275% = € 76 ) per un TFR ipotetico riferibile al 2022 di € 1.880,45 (€ 1.777,78 + € 26,67 + € 76).

Ovviamente, il Trattamento di Fine Rapporto non è esente dalle tasse che lo colpiranno proporzionalmente a seconda del relativo importo, crescente a partire dal 15% se pari o inferiore a € 15 mila, del 27% fino a € 27 mila e, per la parte eccedente questo importo, del 38% fino a € 55 mila, del 41% fino a € 75 mila e del 43% se ancora superiore.

Ciò premesso, quando viene pagato il Trattamento di Fine Rapporto?
Il TFR viene pagato alla fine del rapporto di lavoro, per qualunque ragione esso si concluda: raggiungimento dell’età per la pensione, licenziamento, dimissioni, perfino fallimento (in questo caso non dal datore di lavoro ma dall’INPS) o decesso del lavoratore (agli eredi).

Per completezza va detto che esiste un’eccezione rispetto a quanto detto a proposito di quando viene pagato il Trattamento di Fine Rapporto e consiste nel caso in cui il lavoratore chieda l’anticipo del TFR come previsto dal Decreto del Presidente del Consiglio nr. 51 del 2020.

Le condizioni sono piuttosto stringenti visto che, anzitutto, potrà essere chiesto solo dal lavoratore che ne abbia bisogno con urgenza o per l’acquisto della prima casa, o per far fronte a spese sanitarie straordinarie, o per la nascita di un figlio (solo il padre!), oppure infine per investire nella propria formazione professionale.

In tutto ciò, nemmeno si potrà riscuotere l’intero TFR ma al massimo i 70% di quanto maturato lasciando obbligatoriamente il residuo 30% ad assolvere a funzione originariamente prevista di ammortizzatore nel caso di improvvisa perdita del lavoro.

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La controversa anticipazione mensile in busta paga del TFR: pratica pericolosa e, in ottica logico-giuridica e sistematica, scorretta

Il tfr viene pagato in busta paga

Pare non sia ancora del tutto fugato il dubbio se il trattamento di fine rapporto (t.f.r.) possa essere liquidato mensilmente in busta paga. Probabilmente, la confusione al riguardo nasce dalla breve parentesi in cui il legislatore ha sperimentato, tra il 2015 e il 2018, la possibilità per i lavoratori di ricevere in busta paga una quota mensile del t.f.r. [1]. La norma che proponeva tale possibilità non fu rinnovata nel 2018 e, come segnalato dall’INPS, non è più vigente [2].

Orbene, la disciplina del t.f.r. è regolata dall’art. 2120 c.c. La norma ne dispone anzitutto le modalità di calcolo: inderogabili. Per quanto concerne le eventuali anticipazioni del t.f.r., il co. 6 del menzionato articolo, dispone che «il prestatore di lavoro, con almeno otto anni di servizio presso lo stesso datore di lavoro, può chiedere, in costanza di rapporto di lavoro, un anticipazione non superiore al 70 per cento  sul trattamento cui avrebbe diritto nel caso di cessazione del rapporto alla data della richiesta». Inoltre, a mente del co. 8 la richiesta deve essere giustificata dalla necessità di spese sanitarie per terapie e interventi straordinari o anche dall’acquisto della prima casa. Tuttavia, tale disciplina appare derogabile: il co. 11 dell’art. 2120 c.c. afferma anche che «condizioni di miglior favore possono essere previste dai contratti collettivi o da patti individuali».

La diposizione risulta lineare nella sua formulazione e non offre il fianco a complessità nella sua ermeneutica. La Corte di Cassazione, sezione lavoro, è stata chiara, affermando: «il fatto però che non possano essere ammessi patti diversi sulle modalità di calcolo del trattamento di fine rapporto non significa però che il divieto si estenda alla materia diversa delle anticipazioni sul trattamento di fine rapporto». La Corte specifica che «la disciplina inderogabile concerne le modalità di determinazione del trattamento di fine rapporto, la misura di esso, ed esse soltanto, ma non le anticipazioni. In questa materia sono ammissibili, sia a livello collettivo che a livello individuale, condizioni di miglior favore in favore dei lavoratori» [3]. Tale impostazione è richiamata anche nella recente ordinanza della Corte di Cassazione, sezione lavoro, n. 31260 del 29.11.2019; appare anche confortata, obiter dictum, nella sentenza n. 14968

Un esempio di deroga contrattuale alla disciplina codicistica è il CCNL sulla disciplina del rapporto di lavoro domestico, peraltro recentissimamente rinnovato. L’art. 41 del contratto 2020, stabilisce: «i datori di lavoro anticiperanno, a richiesta del lavoratore e per non più di una volta all'anno, il t.f.r. nella misura massima del 70% di quanto maturato». Oltretutto, proprio in questo settore si è manifestata la pratica della liquidazione mensile del T.F.R., probabilmente in ragione della fisiologica effimerità del rapporto di lavoro tra l’assistente domestico e il datore/utente anziano.

Ma oltre ai contratti nazionali, la disciplina tratteggiata dall’art. 2120 c.c.  può in ogni caso essere derogata mercé il contratto individuale tra il lavoratore e il datore. Ciò è possibile qualora disponga in senso migliorativo per il lavoratore, conformandosi a quanto dettato dal co. 11 dell’art. 2120 c.c.

Tutto ciò considerato, un accordo privato che disponesse la liquidazione mensile del t.f.r. potrebbe virtualmente configurarsi.

Tuttavia, prima di poterne affermare la regolarità, è doverosa un’analisi sistematica e logica-giuridica.

Il t.f.r. è una forma di retribuzione differita e configura un diritto futuro, ha una specifica e spiccata finalità previdenziale. Infatti, la somma accantonata è destinata a sostenere economicamente il lavoratore che si trovasse senza reddito alla cessazione del rapporto. La sua liquidazione mensile, pertanto, potrebbe, con buona probabilità, essere intesa come snaturante ed elusiva, facendo venir meno la natura stessa dell’istituto. L’interesse a eludere la disciplina potrebbe, infatti, facilmente essere ravvisato nell’assoggettamento delle somme t.f.r. a un regime di tassazione agevolato. Peraltro, nella breve parentesi sperimentale tra il 2015 e il 2018, le somme versate a tal titolo non erano considerate anticipazione ed erano assoggettate a regime di tassazione ordinario [4]. Ciò conforta l’ipotesi della natura elusiva e illegittima della liquidazione mensile in busta paga del t.f.r.

[1] Cfr. art. 1, co. 26, L. n. 190, 23.12.2015: «(…) i  lavoratori dipendenti del settore privato, [peraltro] esclusi i lavoratori  domestici e i lavoratori del settore agricolo (…) possono richiedere al datore di lavoro medesimo (…) di percepire la quota maturanda di cui  all'articolo 2120 del codice civile (…) tramite liquidazione diretta mensile della medesima quota maturanda come parte integrativa della retribuzione. La predetta parte integrativa della retribuzione è assoggettata a tassazione ordinaria (…)».

[2] Messaggio INPS - 10.07.2018, n. 2791.

[3] Cass. Civ. Sez. Lav., sentenza n. 4133 del 22.02.2007; punto 4.

[4] Cfr. art. 1, co. 26, L. n. 190, 23.12.2015: «(…) i lavoratori dipendenti del settore privato, [peraltro] esclusi i lavoratori  domestici e i lavoratori del settore agricolo (…) possono richiedere al datore di lavoro medesimo (…) di percepire la quota maturanda di cui  all'articolo 2120 del codice civile (…) tramite liquidazione diretta mensile della medesima quota maturanda come parte integrativa della retribuzione. La predetta parte integrativa della retribuzione è assoggettata a tassazione ordinaria (…)».

Articolo del: 06 ott 2020



Come viene pagato il TFR?

Come si calcola la liquidazione del TFR Per sapere l'esatto ammontare da corrispondere al dipendente devi sommare agli anni di lavoro la retribuzione annua corrisposta al lavoratore divisa per 13,5. Ad esempio, un lavoratore con una retribuzione annua di 20.000 euro lordi accantona ogni anno 1.481,48 euro di TFR.

Quando arriva il TFR in busta paga?

Il TFR sarà liquidato al lavoratore: 1 mese dopo la presentazione della richiesta per aziende con più di 50 dipendenti; 4 mesi dopo per aziende con meno dipendenti.

Cosa spetta nell'ultima busta paga?

trattamento di fine rapporto maturato: ogni anno il lavoratore matura un importo più o meno simile a uno stipendio che verrà erogato alla cessazione del rapporto di lavoro. Ci riferiamo al trattamento di fine rapporto, di cui - come per tredicesima e quattordicesima - se ne matura 1/12 per ogni mese di lavoro.

Chi paga il TFR lasciato in azienda?

Il Fondo di garanzia del TFR e dei crediti di lavoro è stato istituito con la legge n. 297/1982 proprio al fine di pagare il TFR maturato dal lavoratore in sostituzione del datore di lavoro insolvente, ad esempio perché fallito.