Si possono conservare i cibi nelle pentole antiaderenti

Categoria: Il manuale delle pentole

28 maggio 1 commenti

Come conservare al meglio le tue padelle antiaderenti? Ecco qualche consiglio che ti permetterà di mantenerle come nuove e non buttarle.

Chi possiede padelle antiaderenti lo sa bene, con esse è possibile cucinare senza aggiungere olio e grassi, ottenendo risultati di cottura gustosi ma anche genuini.

Inoltre, le padelle antiaderenti assicurano una cottura rapida e uniforme, perfetta se hai poco tempo da dedicare alla cucina. 

Detto ciò, quali sono quegli accorgimenti che, durante l’utilizzo o nella loro conservazione, ti permettono di mantenere intatto il loro rivestimento antiaderente ed evitare di buttarle troppo presto? 

Il primo consiglio, ad esempio, riguarda proprio i primi utilizzi delle padelle antiaderenti.

Quando la pentola è nuova, infatti, è consigliabile procedere con un lavaggio a mano, impiegando dell'acqua tiepida. Senza sfregarla e stando ben attenta a non graffiarla.

Ci sono poi delle precauzioni da prendere affinché il rivestimento delle padelle antiaderenti non si graffi. 

Ad esempio, a partire dagli strumenti utilizzati per cucinare

Un aspetto molto importante è, infatti, rappresentato dagli utensili cui fare ricorso in fase di cottura. Scegli dei cucchiai di legno oppure di plastica, sostituendoli al classico metallo che rischia di graffiarne il fondo. 

Allo stesso tempo, non tagliare il cibo direttamente al loro interno. 

Anche in fase di lavaggio, evita pagliette metalliche o spugne ruvide e cerca di non ricorrere a prodotti chimici aggressivi. 

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E durante la cottura?

Le pentole antiaderenti non vanno mai surriscaldate. Quando si utilizza una pentola con rivestimento in Teflon è consigliabile utilizzare una fiamma non troppo alta e non tenere troppo a lungo le padelle sul fuoco prima di versarne gli alimenti al loro interno. 

Il surriscaldamento, infatti, può portare a ridurre l'effetto antiaderente, oltre ad alterare il colore della padella e a formare delle bolle, fino a rischiare il distaccamento del Teflon.

Le padelle antiaderenti temono poi le escursioni termiche eccessive; pertanto, evita di trasferire una padella ancora calda in frigorifero e di lavarla immergendola immediatamente dopo l'uso in una vasca piena di acqua fredda. 

Al contrario, dopo ogni utilizzo, attendi che la padella si sia raffreddata e mettila a bagno in acqua tiepida per ammorbidire facilmente eventuali residui di cibo. 

Lavala quindi con acqua non troppo calda e usa un detergente liquido non aggressivo, passandola con un panno (o, in alternativa, con il lato più morbido di una spugna per stoviglie). Infine asciugala e ungila con della carta leggermente imbevuta d'olio, rimuovendo quello in eccesso con un altro pezzo di carta pulito.

Questo ti permetterà di rimandare il più a lungo possibile il momento in cui dovrai buttare le pentole antiaderenti vecchie.

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Lasciare gli avanzi

La tentazione di lasciare gli avanzi nella padella e mettere tutto in frigorifero � allettante, ma con le antiaderenti non si pu� fare, perch� questo tipo di padelle non � indicato alla conservazione del cibo, che rischierebbe di assumere un sapore metallico non gradevole, senza contare che, a lungo andare, anche il rivestimento finirebbe col rovinarsi. Il consiglio: rimuovere sempre gli avanzi e metterli in un contenitore per alimenti.

(Pixabay)

23 febbraio 2018 | 18:59
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In breve

  • Nel rivestimento dei tegami si può trovare il politetrafluoroetilene (più conosciuto con i nomi commerciali dei prodotti in cui è contenuto, per esempio Teflon, Fluon, Algoflon, Hostaflon, Inoflon), una sostanza composta da carbonio e fluoro e utilizzata oggi in diversi contesti.
  • Il rivestimento antiaderente dei tegami non è associato di per sé a un aumento del rischio di ammalarsi di cancro o di avere particolari problemi di salute, almeno quando la cottura avviene senza che si raggiungano temperature troppo elevate e mantenendo integra la superficie.
  • La potenziale pericolosità dei tegami antiaderenti è legata alla presenza – sempre più rara nei prodotti moderni – dell’acido perfluoroottanoico (PFOA), utilizzato in alcuni processi di preparazione del prodotto finale.
  • Il PFOA è classificato dall’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro in classe 2B (possibilmente cancerogeno per l’uomo).

Una scoperta inaspettata

Lo statunitense Roy J. Plunkett non aveva ancora trent’anni quando, nel 1938, scoprì il politetrafluoroetilene. Secondo un racconto dello stesso Plunkett, chimico presso l’azienda DuPont, la scoperta fu del tutto accidentale, tanto che il giovane pensò a un esperimento fallito quando trovò della polvere bianca in un cilindro che, almeno in teoria, avrebbe dovuto contenere il gas tetrafluoroetilene (TFE). Quella polvere era il risultato di un processo che aveva portato le molecole del gas TFE, ciascuna composta da due atomi di carbonio e quattro di fluoro, a unirsi in quello che i chimici chiamano un polimero, fatto di tante unità uguali ripetute. Il polimero prese il nome di politetrafluoroetilene (PTFE) e quello che tutti conosciamo come uno dei più comuni rivestimenti antiaderenti è quindi in origine una polvere inodore, bianca e leggera, che non si scioglie in acqua e in nessun solvente. È inerte, ovvero non reagisce con altre sostanze chimiche, non è infiammabile, non conduce elettricità e rimane stabile fino a temperature molto elevate (vicine ai 300 gradi). Tutte queste caratteristiche hanno fatto del politetrafluoroetilene un prodotto di grande successo, presentato al pubblico a partire dalla seconda metà del secolo scorso.

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Dalle pentole agli indumenti

I tegami antiaderenti sono senza dubbio i prodotti più noti tra quelli che contengono politetrafluoroetilene, ma non sono gli unici. Nella Seconda guerra mondiale il politetrafluoroetilene venne utilizzato per rivestire e proteggere attrezzature militari. Oggi, grazie alle sue caratteristiche, viene impiegato in numerosi prodotti plastici come per esempio filtri, guarnizioni, valvole e protezioni di vario tipo contro la corrosione. Ma il PTFE entra anche negli armadi. Alcuni tessuti sintetici altamente impermeabili e traspiranti sono composti proprio da politetrafluoroetilene microporoso e viene utilizzato per realizzare indumenti “tecnici” amati dagli sportivi. Non mancano gli usi del PTFE in medicina, dalla creazione di protesi vascolari a base di PTFE espanso all’uso in alcuni impianti dentali.

Infine ci sono pentole e padelle, presenti a partire dagli anni Sessanta del secolo scorso nella maggior parte delle case. Il rivestimento antiaderente è in genere di colore nero ed è composto da diversi strati di PTFE che rivestono un substrato in metallo, spesso alluminio. Il numero degli strati può variare, così come il metallo sottostante, e questi due elementi determinano la qualità del tegame.

Politetrafluoroetilene e salute: cosa dice la scienza

L’American Cancer Society afferma che il politetrafluoroetilene di per sé non è cancerogeno e non provoca rischi per la salute alle dosi con le quali normalmente si viene in contatto.

Il rischio per la salute nell’utilizzo di prodotti che contengono politetrafluoroetilene è legato in realtà all’acido perfluoroottanoico, noto anche con le sigle PFOA o C8, un composto impiegato in alcune fasi della produzione del politetrafluoroetilene stesso. Sul PFOA gli studi non mancano e hanno portato alcune agenzie internazionali a pronunciarsi sull’argomento. Recentemente l’Agenzia per la protezione ambientale statunitense (EPA) ha affermato che i dati oggi disponibili suggeriscono un possibile legame causale tra PFOA (e altri composti simili) e il cancro; l’American Conference of Governmental Industrial Hygienists (ACGIH) ha classificato il PFOA come cancerogeno confermato negli animali, con rilevanza ancora incerta per gli esseri umani (ATSDR 2015).

Nel 2016 l'Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro (IARC), ente con sede a Lione (Francia) e legato all’Organizzazione mondiale della sanità, ha classificato il PFOA nel gruppo 2B, del quale fanno parte le sostanze “possibilmente cancerogene per l’uomo”. In effetti studi condotti in animali di laboratorio hanno mostrato un aumento di tumori di fegato, testicoli, mammella e pancreas dopo esposizione a PFOA (spesso però a dosi molto elevate e per periodi prolungati, condizioni difficili da realizzare nella vita quotidiana). I dati degli effetti sugli esseri umani sono meno chiari e si basano in particolare su studi condotti in persone esposte per motivi professionali o di residenza vicino a un impianto di produzione. Anche in questi casi ci sono prove di un possibile incremento del rischio di alcuni tumori (vescica, testicolo, fegato e altri), ma servono dati più affidabili per arrivare a conclusioni definitive.

Gli autori di uno studio i cui risultati sono stati pubblicati nel marzo 2020 sulla rivista International Journal of Environmental Research and Public Health hanno fatto un passo in più per comprendere il legame tra questo tipo di sostanze e il cancro: analizzando 26 composti, tutti facenti parte delle cosiddette sostanze perfluoroalchiliche (PFAS), che includono tra le altre anche il già citato PFOA, hanno valutato in laboratorio il loro effetto su alcune funzioni biologiche legate allo sviluppo di tumori. Dallo studio è emerso che in effetti molte PFAS hanno attività simile a quella di carcinogeni già noti: portano a stress ossidativo e soppressione delle funzioni del sistema immunitario, e possono inoltre influenzare la proliferazione delle cellule e portare a modifiche epigenetiche del DNA, che non cambiano la struttura dell’acido nucleico ma possono modificarne l’espressione. Per altri processi importanti nello sviluppo dei tumori, come per esempio lo sviluppo di infiammazione cronica o l’alterazione dei meccanismi di riparazione del DNA, i dati non sono ancora sufficienti per giungere a una conclusione chiara.

Regolamenti

Nel 2006 l’EPA e otto aziende che utilizzavano regolarmente PFOA hanno dato il via a uno speciale programma, con l’obiettivo di ridurre i livelli di emissioni e i prodotti contenenti questa sostanza del 95 per cento entro il 2010 e di eliminarli completamente entro il 2015. Secondo i dati e le dichiarazioni delle aziende, l’obiettivo è stato raggiunto. In Europa la Commissione europea ha chiesto all’Agenzia europea per la sicurezza degli alimenti (EFSA) di valutare i rischi per la salute umana delle sostanze perfluoroalchiliche, tra le quali si possono citare in particolare il perfluorottano sulfonato (PFOS) e il PFOA, , due sostanze che persistono nell’ambiente, hanno tempi di degradazione molto lunghi e possono accumularsi nell’organismo umano. La prima parte del lavoro, pubblicata nel 2018, sarà seguita da una seconda e conclusiva relazione.

Nel frattempo, come si legge sul sito EFSA, “il 4 luglio 2020 entreranno in vigore restrizioni alla fabbricazione e all'immissione sul mercato dei PFOA, dopo le valutazioni scientifiche effettuate dall’Agenzia europea per le sostanze chimiche (ECHA)”.

In pratica

È possibile utilizzare in modo sicuro le pentole antiaderenti seguendo alcune regole molto semplici:

  • non scaldare mai il tegame vuoto perché così facendo aumenta il rischio di raggiungere temperature troppo elevate nelle quali la stabilità del materiale è compromessa;
  • mantenere il locale ben areato quando si cucina;
  • buttare le pentole se il rivestimento è particolarmente rovinato. In quest’ultimo caso il rischio non deriva tanto dal rilascio di particelle di rivestimento (che comunque è sempre bene non ingerire), ma piuttosto del metallo sottostante, spesso non adatto a entrare in contatto con gli alimenti.

In conclusione

Il rivestimento delle pentole antiaderenti non è di per sé pericoloso per la salute, ma alcune sostanze, PFOA in particolare, che possono essere utilizzate nel processo di produzione del prodotto sono state associate a un aumento del rischio di tumore e altre patologie. Tuttavia i tegami di produzione più recente non dovrebbero contenere PFOA. Resta da dire che alcune regole di base per l’adeguato utilizzo delle pentole con rivestimento antiaderente sono necessarie: acquistare prodotti di qualità, leggere le istruzioni fornite dal produttore e buttare via le padelle quando il rivestimento appare molto rovinato.

  • Agenzia ZOE

Quando le pentole diventano cancerogene?

Quando la pentola raggiunge 360 gradi, rilasciano almeno sei gas tossici, tra cui due agenti cancerogeni (PFOA e TFE), e l'acido monofluoroacetico (MFA), un agente da guerra chimica che è mortale per gli esseri umani, anche a basse dosi.

Quanto può stare il cibo nelle pentole di alluminio?

Quanto può stare il cibo nelle pentole di alluminio? Diciamo non oltre le 24 ore. In caso contrario sarebbe meglio optare per la ceramica o il vetro. È necessario anche fare attenzione anche al momento del lavaggio delle pentole in alluminio e come pulirle, evitando prodotti aggressive e i lavaggi in lavastoviglie.

Quando una pentola antiaderente è da buttare?

Secondo gli chef, ogni articolo da cucina ha una durata di conservazione e per le pentole antiaderenti è di circa 5 anni. Se la usi tutti i giorni o 3-4 volte a settimana, assicurati di sostituire la padella antiaderente ogni 4-5 anni per rimanere al sicuro e in salute.

Quali sono le pentole cancerogene?

Solo così può accadere che il Teflon rilasci il PFOA, l'elemento considerato come cancerogeno. In ogni caso perché questo si verifichi occorre che la pentola raggiunga una temperatura di 450 °C, una situazione alquanto difficile.

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