Che cosa può fare il dipendente se il datore di lavoro non versa i contributi o le quote di Tfr al fondo di previdenza integrativa?
Dopo un primo periodo di diffidenza, sono sempre di più i lavoratori che aderiscono alla previdenza complementare: integrare i propri versamenti previdenziali, e conferire il proprio Tfr (trattamento di fine rapporto) a un fondo di previdenza complementare consente, infatti, di ottenere una pensione integrativa, quindi di aumentare l’importo della rendita mensile al termine della carriera, avvicinandola all’importo dello stipendio.
Tuttavia bisogna ricordare che, per quanto riguarda i lavoratori dipendenti, è il datore di lavoro, nella generalità dei casi, a dover trattenere e versare le quote di contribuzione e di Tfr al fondo di previdenza complementare al quale l’interessato risulta iscritto.
Ma che cosa succede se non lo fa? Il dipendente ha diritto alle stessa tutela di cui gode per i contributi obbligatori oppure no? Se il datore di lavoro non versa la contribuzione o le quote di Tfr, è l’ente a chiedere i versamenti omessi, come fa l’Inps per la contribuzione obbligatoria, oppure si deve attivare il lavoratore per conto suo?
In altre parole, per contributi e Tfr alla previdenza complementare non pagati, che fare? Chi si deve attivare, e a chi ci si deve rivolgere?
Indice
- 1 Mancati versamenti alla previdenza complementare
- 2 Chi può chiedere i mancati versamenti alla previdenza complementare?
- 3 Azione di recupero dei mancati versamenti alla previdenza complementare
- 4 Fondo di garanzia Inps per la previdenza complementare
- 5 Prestazioni del Fondo di garanzia per la previdenza complementare
Mancati versamenti alla previdenza complementare
La previdenza complementare, purtroppo, non è tutelata giuridicamente come la previdenza obbligatoria: in particolare, se il datore di lavoro non versa i contributi o la quota di Tfr alla previdenza complementare, non è prevista la riscossione coattiva da parte dell’ente previdenziale tramite ruolo, al contrario di quanto avviene quando a non essere versati sono i contributi obbligatori o le quote di Tfr all’Inps (addirittura, in questi casi, l’Inps notifica al datore di lavoro un avviso di addebito che ha valore di titolo esecutivo).
In buona sostanza, per quanto riguarda i contributi e la quota di Tfr da versare alla previdenza complementare, non vale né il principio di automaticità delle prestazioni a favore del lavoratore, secondo il quale il dipendente ha comunque diritto alle prestazioni derivanti dall’iscrizione all’ente previdenziale, anche se il datore non effettua i versamenti, né è possibile la riscossione coattiva dell’ente previdenziale nei confronti del datore.
Chi può chiedere i mancati versamenti alla previdenza complementare?
L’impossibilità di riscuotere coattivamente i contributi integrativi dovuti e le quote di liquidazione costituisce sicuramente un problema, dal momento che la normativa sulla previdenza complementare [1] non indica chi sia il titolare del credito previdenziale, il lavoratore o l’ente, né prevede la contitolarità nel caso si debba esperire un’azione contro il datore per il mancato versamento di contributi o Tfr.
Il fondo di previdenza complementare privato, scelto dal lavoratore, non può dunque richiedere direttamente i contributi o la quota di Tfr al datore di lavoro, in caso di inadempimento da parte del datore di lavoro. In pratica, il fondo può soltanto avvisare il lavoratore dell’esistenza di inadempienze nel versamento dei contributi, ma non può agire giudizialmente nei confronti del datore di lavoro per il versamento dei contributi omessi.
Risulta invece il lavoratore, come confermato dal prevalente orientamento della giurisprudenza [2], l’unico legittimato ad esperire un’azione giudiziale per ottenere il versamento delle quote di Tfr e dei contributi previdenziali omessi destinati al fondo di previdenza complementare.
Azione di recupero dei mancati versamenti alla previdenza complementare
Il lavoratore dipendente, quando esperisce un’azione giudiziale per il recupero di quote del Tfr e contributi non versati alla previdenza complementare, deve però obbligatoriamente chiamare in causa, oltre al datore di lavoro (convenuto), anche il fondo complementare, in quanto legittimato passivo al versamento delle quote di liquidazione e dei contributi previdenziali omessi. È indispensabile chiamare in causa il fondo complementare, considerando che nel nostro ordinamento sono esclusi i provvedimenti nei confronti di terzi non evocati in giudizio: per ottenere la condanna del datore di lavoro alla corresponsione al pagamento dei contributi previdenziali è quindi necessario che l’ente pensionistico sia parte del giudizio.
In parole semplici, in causa il lavoratore in causa deve far valere il suo diritto soggettivo alla posizione assicurativa, diritto che viene soddisfatto non con la condanna a un versamento diretto nei suoi confronti, ma a un versamento dei contributi all’ente previdenziale al quale il lavoratore ha aderito.
Fondo di garanzia Inps per la previdenza complementare
Nel caso in cui l’azienda sia fallita, o interessata da una procedura concorsuale, il lavoratore può beneficiare, però, di una tutela in più: il Fondo di garanzia Inps per la previdenza complementare, da non confondere con l’ordinario Fondo di garanzia Inps [3].
Il Fondo di garanzia per la previdenza complementare, istituito presso l’Inps, interviene dietro proposizione di una domanda da parte del titolare della posizione che sia in possesso dei seguenti requisiti:
- la cessazione del rapporto di lavoro subordinato;
- l’iscrizione a una forma di previdenza complementare al momento di proposizione della domanda (come chiarito dall’Inps in una nota circolare [4]);
- l’accertamento dell’esistenza di uno specifico credito relativo a quote del Tfr o contributi non versati al fondo di previdenza complementare;
- l’apertura di una procedura concorsuale a carico del datore di lavoro.
Prestazioni del Fondo di garanzia per la previdenza complementare
Il Fondo di garanzia per la previdenza complementare, verificata la sussistenza dei requisiti elencati, necessari per il suo intervento, versa quanto non conferito al fondo di previdenza complementare a cui il dipendente è iscritto, non direttamente al lavoratore.
Nello specifico, sono garantiti dal fondo:
- il contributo del datore di lavoro;
- il contributo del lavoratore che il datore di lavoro ha trattenuto e non versato;
- la quota di Tfr conferita al fondo che il datore di lavoro ha trattenuto e non versato (tale quota, divenuta contribuzione alla previdenza complementare, non può più essere richiesta all’ordinario fondo di garanzia per il Tfr).
Inoltre, il fondo provvede a rivalutare i contributi versati utilizzando, per ciascun anno, l’indice di rendimento del Tfr. I contributi coperti dal fondo sono esclusivamente quelli dovuti a forme di previdenza complementare per l’erogazione di prestazioni di vecchiaia e superstiti. Sono quindi esclusi i contributi eventualmente dovuti per l’anzianità, l’invalidità, l’inabilità e per ogni altra forma di assistenza integrativa.
In assenza della previsione di uno specifico termine di prescrizione, il diritto a chiedere l’intervento del fondo è soggetto al termine ordinario di prescrizione decennale previsto dal codice civile [5], che decorre dalla data di cessazione del rapporto di lavoro. In pratica, una volta terminato il rapporto di lavoro dipendente, ci sono 10 anni per rivolgersi al fondo di garanzia per la previdenza complementare dell’Inps.
note
[1] D.lgs. n. 225/2015.
[2] Ad esempio, Tribunale di Roma, sentenza n. 10489/2016.
[3] Art.2, L. n.297/1982.
[4] Inps Circ. n. 23/2008.
[5] Art. 2946 del codice civile